L’idea di scrivere un articolo per il blog a tema “cultura della progettazione” mi è venuta per tre motivi.
- Il primo è una constatazione: tutti i lavori che stiamo seguendo in questo preciso momento riguardano la redazione di progetti. Nessuno escluso. Uno su di un allestimento multimediale, uno per la creazione di un museo digitale, un altro ancora per viluppo delle attività culturali e turistiche di un territorio, solo per fare qualche esempio.
- Il secondo motivo celebra, si fa per dire, la conclusione di un percorso di formazione. Questo è infatti l’ultimo mese del dottorato in Digital Humanities (Arti, spettacolo e tecnologie multimediali). La tesi che sto preparando riguarda proprio il tema della progettazione per i musei e le tecnologie multimediali (per inciso, ringrazio tutti coloro che mi stanno sopportando in questi mesi di difficile e frenetica scrittura).
- Il terzo motivo è di attualità: il PNRR. Gli Enti stanno lavorando ai progetti che riguardano anche il “famoso” M1C3: Turismo e Cultura 4.0 e forse, ma proprio forse, si stanno accorgendo che poteva essere un’ottima idea cominciare a farlo prima (una lungimirante istituzione ha provato a mettere questa pulce nell’orecchio attraverso un bando…).
E allora mi chiedo, sommessamente: Cominciassi(mo) adesso, 31.1.2022, a progettare bene bene bene e con calma, per evitare di essere in “ritardo” domani, quando, ad esempio, dovessero esserci altre occasioni di finanziamento per Musei e luoghi della cultura? O più semplicemente per essere più organizzati e lavorare meglio?
Chiariti i motivi che mi hanno portato a s-parlare di “cultura della progettazione” faccio il solito elenco delle tre cose per me importanti sul tema.
- Tutti i miei fallimenti lavorativi. Non sono stati pochi e mi hanno insegnato molto. Per fallimenti non intendo certo il non essere riuscito a consegnare un lavoro o averlo fatto “male”, sbagliandolo (scriverne non sarebbe un’ottima idea di marketing). Intendo il non aver raggiunto tutti gli obiettivi che mi ponevo in fase progettuale, oppure il non avere proprio fatto una progettazione. Infatti come si può dire se un lavoro – ad esempio un video, un allestimento, uno strumento digitale, una pianificazione museale – sia o meno di successo? Si sarebbe dovuto decidere a priori su quali criteri basare questa valutazione, fissare dei goal, e così via. Mai lavorare senza obiettivi chiari, nemmeno per “piccoli incarichi”. Le volte che mi sono fissato degli obiettivi ho verificato che – ovviamente – non tutti sono stati raggiunti completamente, ma questi ultimi sono stati alla base di successive progettazioni.
Mi trovo molto a mio agio a lavorare con committenze che comprendono questo metodo e lo condividono, si crea un bellissimo rapporto che diventa così continuativo (cosa che mi appaga profondamente dal punto di vista professionale e personale). - La personalità. Ho imparato che per essere un buon progettista, per essere in grado di seguire tutte le fasi di un progetto complesso, serve carattere. Bisogna metterci dedizione e passione, senza mai risparmiarsi. Si deve imparare quello che ancora non si conosce, ma al tempo stesso aiutare il team di progetto e tutti i soggetti coinvolti (fornitori, professionisti, prestatori di servizi, personale dell’ente culturale, etc) attraverso l’esperienza maturata nel tempo che aiuta a prevedere eventuali minacce e a risolvere le criticità. In ultimo, si deve parlare al “noi”. Il professionista “quando lavora per…” in realtà “è” l’Istituzione culturale per la quale sta svolgendo il suo incarico, la rappresenta, deve sentirsi partecipe delle sue finalità per poter dare un buon contributo e per rapportarsi a soggetti terzi (sponsor, partner, altri Enti, pubblico, etc).
- Fare tesoro delle esperienze professionali maturate nel corso del tempo.
Se avete altre curiosità > info@matteosicios.com
Un progetto fatto nel 2009? o nel 2010? Non ricordo più… dico solo grazie a chi mi diede fiducia vedendo una fotocopia che veniva via via
scarabocchiata durante una riunione da un giovinastro con più entusiasmo che competenza.